Quando gli occidentali pregano Confucio

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Il Tempio di Confucio sorge come un oasi di pace tra i vicoli contorti e rumorosi della città vecchia. Il culto di Confucio è stato storicamente promosso dalle diverse dinastie che volevano trovare un fondamento rituale e ideologico all’unità dell’Impero, ed è solitamente rimasto confinato alle cerimonie di Stato e alla classe dei letterati-funzionari che nella tradizione confuciana si riconosceva. Poi però, lentamente, Confucio è stato assimilato al dio taoista della cultura, e come tale appare in forma divinizzata in molti templi taoisti, come il grande Tempio delle nuvole Bianche di Pechino. Oggi sono soprattutto gli studenti a venire qui per chiedere assistenza celeste negli esami. Dai rami degli alberi secolari che circondano l’edificio principale del tempio pendono foglietti gialli legati con un nastro rosso: su un lato portano l’effigie di Confucio, sull’altro il testo della preghiera o della richiesta di grazie. Quando si alza il vento, il fruscio delle preghiere si solleva in mille lingue. Con stupore, infatti, ho scoperto che almeno la metà dei foglietti sono redatti da occidentali che vivono a Shanghai per studio o lavoro, o più spesso da turisti. Cosa rappresenta Confucio per loro? Dai loro testi Confucio appare assimilato ai santi cristiani, a cui ci si rivolge per chiedere aiuto e buona salute. Spesso è vissuto come l’incarnazione stessa della cultura cinese. Si presenta il dubbio di quale appellativo scegliere per rivolgersi a lui. Non è propriamente una divinità, ma nemmeno una figura sacra della nostra cultura… nel dubbio spesso le preghiere iniziano con un “Caro Confucio”, “Dear Confucius”, “Cher Confucius”, “Lieber Konfuzius”. Talvolta si aggiungono altri appellativi più legati alla tradizione cinese, come “Maestro” o “Onorabile Maestro Confucio”.

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La preghiera più “laica” è quella di Anne, che in inglese scrive: “Caro Confucio, AMO la tua filosofia. Sono venuta qui solo per renderti omaggio.” Altri chiedono salute e benedizioni come si farebbe con un comune santo cristiano. Il fatto che Confucio sia percepito come un saggio che si occupava essenzialmente dell’umano e della società ma non di valori trascendenti, aiuta nel chiedere il benessere terreno. Amelie, Francia, scrive: “Confucio, ti chiedo salute, amore, viaggi e benessere per me e per tutte le persone che mi sono care.”. Alex, USA: “Ti chiedo che l’amore della mia vita conservi sempre la salute. Che i giorni che arriveranno, benché difficili, noi li possiamo affrontare insieme e ritrovarci più uniti di prima.” Alicia: “Caro Confucio, aiutami a trovare un buon lavoro e ad avere fortuna in tutto il mio periodo di studi. Che la mia famiglia resti sempre in salute e tutto il meglio per i miei amici.”

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Alcuni ritrovano in Confucio il padre della civiltà cinese, e per questo si rivolgono a lui nell’affrontare lo studio della lingua o cultura cinese. Bill: “Confucio, onorevole maestro, aiutami a ottenere successo nei miei studi di cinese, come negli altri impegni accademici. Guidami alla comprensione.” E un bambino americano: “Vorrei diventare molto bravo nel Kung-fu ed essere molto intelligente a scuola. Grazie.”

Molti, ispirati dalla sua filosofia, riconoscono in lui l’incarnazione della saggezza e chiedono una guida nell’affrontare le vicende della vita. Albert: “Caro Confucio, in questo momento mi sento smarrito… Le cose non sono andate come desideravo e non riesco a prendere una decisione. Per favore, aiutami a trovare la mia strada verso la luce e garantiscimi saggezza, forza e coraggio per fare la cosa giusta. Grazie.” Abdullah: “Caro Maestro Confucio, dammi la giusta direzione per perseguire conoscenza e saggezza”. Aurelie: “Ti chiedo che l’amore della mia vita conservi sempre la salute. Che i giorni che arriveranno, benché difficili, noi li possiamo affrontare insieme e ritrovarci
più uniti di prima.” Vincent: “Caro Confucio, donami la pazienza del cuore.”

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Non mancano riferimenti diretti ai Discorsi di Confucio e ai contenuti del suo pensiero, come T.D. che chiede: “Fa che il libro che devo scrivere sia pervaso dal senso del ren.” Ren, variamente tradotto con senso di umanità, benevolenza ed empatia, è considerato il supremo valore trasmesso da Confucio nel suo insegnamento. Molti altri ricordano l’insistenza di Confucio nel perseguire la virtù della pietà filiale, e pregano per i loro genitori anziani, come G. che in italiano scrive: “Caro Confucio, proteggi mio padre e le persone che gli sono care. Donagli la felicità eterna e la salute. Ti sono riconoscente.”

Ci sono poi gli studenti che sanno come i Classici Confuciani siano stati per secoli il pilastro del sistema degli Esami Imperiali e quanto Confucio abbia sempre esaltato lo studio come via di autocoltivazione dell’umano. Chiedono soprattutto aiuto per gli studi universitari, come Charlene: “Caro Confucio vorrei riuscire nei miei studi e poter accedere all’USIP a Parigi per avere il lavoro dei mie sogni. Grazie.”, o Nathan: “Caro Confucio, vorrei avere successo nei miei studi all’Indiana University. Che io possa avere un felice primo anno da matricola e altri quattro anni di successi.”

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Tutti, comunque tributano a Confucio lo stesso rispetto e venerazione che avrebbero per le figure sacre dell’Occidente cristiano e anzi, figli di società ormai ampiamente secolarizzate, sembrano rivolgersi a lui con la prossimità e familiarità di chi, senza la mediazione e la sovrastruttura di una religione organizzata, incontra sulla propria strada un maestro e una guida spirituale. Ciò che Confucio rappresenta ha ormai travalicato i confini della Cina, e i visitatori non hanno difficoltà a sentirsi parte di una comunità mondiale, a incorporare la cultura cinese nella propria e a vedere il filo sottile che unisce la sapienza umana in qualunque parte del globo essa sia fiorita.

Quello che vedete qui sotto è il retro del mio foglietto di preghiera. Non vi rivelerò cosa ci ho scritto. Ma se desiderate saperlo, potete andare a Shanghai, al Tempio di Confucio, godervi il mormorio dell’acqua e il canto degli uccelli, e come ho fatto io frugare tra le fronde degli alberi secolari.

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Svegliatevi, dormienti

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Tutto comincia con Platone e il suo Mito della Caverna, probabilmente il mito fondante del pensiero occidentale. Il filosofo ci racconta di un gruppo di prigionieri legati in una grotta, che osservano le ombre e ascoltano gli echi che provengono loro dall’esterno e si illudono che siano l’apparizione di oggetti e di suoni realmente presenti. Immersi in questo cinematografo ante-litteram, i prigionieri non sono forse dei dormienti che sognano e, intrappolati nelle fantasmagorie del sogno, lo scambiano per la realtà? Sappiamo come il mito si conclude. Uno dei prigionieri viene liberato. Come un uomo che al mattino si risveglia percepisce il sole e poi il nitido profilo delle cose delinearsi nella luce. Ritorna nella caverna, per ridestare i propri compagni dalla loro finzione, ma essi non gli credono e lo mettono a morte. Triste destino del filosofo, deriso e ucciso come Socrate per aver voluto additare la verità dietro il cangiante e multicolore velo di Maya delle apparenze.

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2000 anni dopo all’altro capo del mondo, il filosofo Wang Yangming osserva con strazio un mondo di ebbri dormienti. Il buddhismo, con la sua ricerca dell’illuminazione e del Risveglio ha depositato le sue tracce anche negli strati più profondi del pensiero confuciano. E ancora una volta, in una sua poesia, Wang descrive il tormento dell’uomo che solitario veglia ed è impotente a ridestare gli altri al vero: “L’intero mondo è sprofondato nel sonno/Ma il solitario – chi sarà? – per caso ancora sobrio/Grida ma non può smuovere gli altri/Che lo fissano con muto attonimento.”

Ten Portraits of Jews of the Twentieth Century 226: Franz Kafka

Il movimento di spola prosegue, un altro passo avanti di cinquecento anni, nuovamente in Occidente. Franz Kafka, ispirato da una raccolta di racconti fantastici cinesi, “I racconti straordinari dello studio Liao”, di un autore di poco posteriore a Wang, Pu Songling, scrive la propria notte, le proprie angosce, i propri incubi. Dentro i suoi racconti ci sono, trasfigurati, la burocrazia sterminata e senza senso dell’Impero Cinese come può apparire a un occidentale (“Durante la costruzione della muraglia cinese”) e la vana attesa di un uomo a cui è stato destinato un messaggio dell’Imperatore e non lo riceverà mai, perché troppo vasta e remota è la corte e troppo labirintica la città che lo separano da lui (“Il messaggio dell’imperatore”). Ma c’è anche questo breve e fulminante apologo, “Notte”:

“Di notte. Sprofondato nella notte. Essere sprofondato nella notte come talvolta si abbassa la testa per riflettere. Gli uomini intorno dormono. Una piccola commedia, una innocente illusione che dormano nelle case, nei letti solidi, sotto un tetto solido, stesi o rannicchiati su materassi entro lenzuola, sotto coperte; in realtà si sono trovati insieme, come a suo tempo e come più tardi in una regione deserta, accampati all’aperto, un numero incalcolabile d’uomini un esercito, un popolo sulla terra fredda, sotto un cielo freddo, coricati dove prima erano in piedi, la fronte contro il braccio, il viso contro il suolo, col respiro calmo. E tu sei sveglio, sei uno dei custodi, trovi il prossimo agitando il legno acceso nel mucchio di stipe accanto a te. Perché vegli? Uno deve vegliare, dicono. Uno deve esserci”.

Il risvegliato non cerca più di portare la verità del giorno ai suoi compagni. Li osserva quasi con tenerezza, finalmente fatti uguali oltre le epoche e i confini e le ideologie, sprofondati come sono nella loro inerte animalità, nei loro sogni inaccessibili. Il solitario veglia su di loro, porta il peso silenzioso del proprio incomprensibile destino. Testimoniare, gli occhi spalancati nella notte, questo è il compito che gli è stato affidato.

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Dopo avere zigzagato nel tempo e nello spazio, la navetta del telaio ritorna in Cina. Qui è Lu Xun, il più grande scrittore dell’epoca moderna, che rovescia la veglia mite e sommessa di Kafka in uno straziante enigma. Intorno a lui la Cina imperiale crolla sotto il peso dell’imperialismo delle potenze straniere. Lui osserva il tramonto di un mondo, l’imbarbarirsi dell’umano, il furore delle vecchie ideologie che opprimono e “mangiano gli uomini”. Nel suo racconto “Diario di un pazzo” (1918) racconta di un uomo che scopre come tutti i suoi vicini si nutrano di carne umana. Il delirio di un paranoico o la realtà brutalmente rischiarata dal bagliore della follia?

E ancora torna ad affacciarsi il mito della caverna, stavolta trasformata in una camera di tortura, e il baluginio sottile di una speranza che non si sa se sia l’annuncio di un’alba che viene o l’ultimo fuoco del crepuscolo:

“Immagina una casa di ferro senza finestre, praticamente indistruttibile, con tanta gente addormentata sul punto di morire asfissiata. Tu sai che la morte li coglierà nel sonno e che quindi non conosceranno le pene dell’agonia. Ora, se tu, con le tue grida, svegli quelli dal sonno più leggero e se costringi questi sfortunati a soffrire il tormento di una morte inevitabile, credi di rendere loro un servigio? Eppure, se alcuni si svegliano, non puoi più dire che non ci sia alcuna speranza di distruggere la casa di ferro.”

 

 

Shanghai, XXII secolo

Uno dei più bei film di fantascienza di sempre, Codice 46 di Michael Winterbottom, è stato girato nel quartiere Pudong di Shanghai, il distretto d’affari della metropoli, senza la necessità di effetti speciali o computer graphic. Visitare Pudong è come attraversare un varco temporale e fare una passeggiata nel ventiduesimo secolo. Pudong è dominata da tre torri vertiginose: Lo Shanghai World Financial Center, alto 492 metri, forma “a cavatappi” e un ascensore che in meno di un minuto ti trasporta al 100° piano, culmina in un corridoio d’osservazione di 55 metri da cui si possono guardare gli impervi e surreali scorci delle torri che lo circondano. La torre Jinmao, ispirata alle strutture architettoniche delle pagode, è il grattacielo di maggior valore estetico, ma più basso: 420 metri. Ancora in costruzione è invece la Shanghai Tower. Quando sarà completata, nel 2014, raggiungerà l’altezza di 632 metri e con i suoi 128 piani sarà il secondo grattacielo più alto del mondo, dopo l’inarrivabile Burj Khalifa di Dubai. La sua struttura a nove cilindri sovrapposti che si sviluppano con una sorta di torsione elicoidale è estremamente audace ma armoniosa. Le nove zone interne costituiranno poi dei moduli a sé stanti, ciascuna con giardini interni, ristoranti e centri commerciali. Ai piedi dei tre giganti si stende un fitto sottobosco di grattacieli dai vetri argentei o dorati, a forma di cristallo di quarzo sbalzato o costellati di colonne greche. Naturalmente c’è anche la Oriental Pearl TV Tower con il suo “treppiedi” e le due sfere rosacee molto ambite dai turisti come piattaforme d’osservazione. I grattacieli sono raggiungibili tramite una vasta passerella pedonale servita da scale mobili che consente ai visitatori (e questa settimana, grazie alla Festa nazionale del primo ottobre, il flusso era tale da impedire quasi di avanzare) di ammirare i profili delle torri e la luce del tramonto che si scheggia sulle loro superfici vitree. La passerella si inoltra anche serpeggiando negli immensi centri commerciali, e li collega con la stazione della metropolitana. Quattro stazioni più oltre è possibile raggiungere la stazione di partenza del Maglev, il treno a levitazione magnetica che corre a 430 km/h sulla sua monorotaia sopra la campagna, che recede piano piano di fronte ai cantieri insonni che avanzano, fino all’aeroporto internazionale. Le prospettive sovrumane e schiaccianti delle torri di Pudong si smorzano sul lungofiume, una passeggiata silenziosa, costellata di alberi e caffè all’aperto, che guarda sul Bund con i suoi palazzi e hotel art nouveau e le sue chiese retaggio delle concessioni straniere. Ogni tanto una carrozza con abiti di inizio novecento, è la scenografia di un fotografo di strada che promette di ritrarti in color seppia nello splendore raffinato e imperialista della Belle Époque. La folla che invade i meandri dei grattacieli e l’improvviso rallentamento del tempo lungo l’ansa del fiume rendono l’esperienza di Pudong diversa da quella di altre città che ci precedono nel futuro, come la Défense di Parigi con le sue spianate battute dal vento e il silenzio irreale delle torri che la fa sembrare una città abbandonata dall’uomo, una profezia di apocalisse.
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