Sulle anime in Cina

Il titolo del blog rappresenta la mia condizione: presto mi trasferirò in Cina, portando con me la mia anima come casa (ricordate il bellissimo film “La strategia della lumaca?”), ma è anche il titolo di un romanzo di Anna Kavan, scrittrice poco nota in Italia, ma che io amo molto. Nel romanzo, storia di una donna che fugge alla ricerca della felicità su una remota spiaggia dell’oceano Pacifico, ma non riesce ad acquietare i suoi demoni interiori, la Cina è una metafora dello straniamento. Anna Kavan per tutta la vita si è sentita straniera (“A stranger on Earth” è il titolo di una sua biografia), separata dalla vita da un’invisibile parete di cristallo. E la “fuga in Cina” è anche una ribellione dell’anima che si sottrae al dolore e all’incomprensione della realtà rifugiandosi nel mondo dell’immaginazione e del sogno.

Ecco un brano del romanzo (traduzione mia):

“La ragazza accanto a me vaga con il pallido volto sollevato, rapito. Guardandola, potresti pensare che sia senz’anima, che un giorno la sua anima abbia preso il volo per la Cina. Un giorno lei ha avuto una visione di boccioli di fiori su un albero di sefora, ha visto un paesaggio di templi che sollevano le spalle, e di uomini con gli occhi a mandorla. ‘Cina! Cina!’ ha gridato, e la sua anima è volata fuori dalle sue labbra insieme alle parole. Su oceani e continenti ha volato senza mai guardare indietro, per tutto il lungo viaggio verso la Cina: e lì ha scelto di rimanere; quale motivo ci sarebbe stato per un ritorno? […] Mentre la stanno trascinando via, lei si volta e mi guarda. I suoi occhi sono fantastici. Non sembrano occhi umani, ma due grandi buchi neri, attraverso cui si intravedono le selvagge terre ululanti del caos e la tenebra fuori, l’orrore dell’eternità e la notte antica. Solo una la cui anima è in Cina può avere simili occhi. ‘Continua’ mi dice qualcuno scuotendomi le spalle e schiaffeggiando la mia mano perché io lasci cadere qualcosa. Abbasso gli occhi per vedere di che si tratta, e scopro che sto tenendo in mano un cucchiaio; e realizzo all’improvviso che quelli sono i miei stessi occhi riflessi nella scintillante cavità del cucchiaio; i miei occhi mi stanno fissando, vuoti come buchi attraverso cui soffia il vento”. (Anna Kavan, “My soul in China”, pp. 20-21)

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