La sorgente dei fiori di pesco. Una fiaba cinese

“La storia della sorgente dei fiori di pesco” è un racconto fantastico scritto nel 421 d.C. da Tao Yuanming. In Cina ha ispirato poesie, sonate per guqin (cetra cinese) e un film. Da allora l’espressione 世外桃源 shiwai tao yuan (la sorgente dei peschi aldilà di questo mondo) indica una felice utopia, o un luogo selvaggio e meraviglioso scoperto per caso. Qui sotto trovate la traduzione di questo celebre racconto corredata dalle foto del campus a primavera.

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Durante il periodo Taiyuan della dinastia Jin c’era un uomo di Wuling che viveva di pesca. Un giorno con la sua barca si era messo a seguire il corso di un fiumiciattolo, e aveva ormai smarrito il senso della distanza che lo separava dal suo percorso consueto. Improvvisamente si vide di fronte un boschetto di peschi in fiore. Su entrambe le rive per un’estensione di cento piedi, non vi erano altro che peschi fioriti tra il verde fresco e dolce dell’erba lussureggiante, e una pioggia di petali cadeva a profusione. Il pescatore rimase stupito di fronte a quella stranezza, e spinse la barca oltre passando in mezzo alla fitta distesa di peschi in fiore.

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In fondo al frutteto gli si parò di fronte una montagna. C’era una piccola fessura nella montagna e una luce sembrava promanarne. Il pescatore accostò la sua barca alla riva e continuò a piedi, cercando di infilarsi nello squarcio del monte. L’apertura era talmente stretta che solo una persona riusciva a sgusciarvi attraverso. Continuò a camminare per un tratto finché la vista gli si aprì su un ampio paesaggio. C’erano vaste estensioni di terra coltivata costellate da casette linde e ordinate, con graziosi specchi d’acqua, gelsi e boschetti di bambù. Tutto era ordinatamente congiunto da sentieri che si incrociavano attraverso la campagna, e si udiva in lontananza il richiamo di cani e galline. Tutti i contadini stavano arando, seminando e sarchiando, e il loro abbigliamento era simile a quello degli abitanti del mondo di fuori. Tutti, giovani e anziani, sembravano felici e immersi con soddisfazione nelle loro attività quotidiane.

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Non appena si accorsero di lui, rimasero enormemente stupiti. Gli chiesero da dove venisse, ed egli rispose a ogni loro domanda. Lo invitarono a visitare le loro case, preparandogli un banchetto di benvenuto con vino e carne di pollo. La notizia si sparse rapidamente per tutto il villaggio, e tutti accorsero a fare domande al forestiero. I suoi ospiti gli raccontarono che i loro antenati erano fuggiti durante i disordini della dinastia Qin, portando con sé le loro mogli, i figli e i loro vicini in questo luogo. Nessuno di loro aveva mai abbandonato quella terra, ed erano rimasti completamente separati dal resto dell’umanità. Quando si informarono su quale dinastia fosse al potere, il pescatore scoprì che non avevano mai sentito nominare la dinastia Han, e ancor meno sapevano dei regni Wei e Jin. Egli raccontò loro delle vicissitudini e dei conflitti avvenuti nel mondo esterno e tutti ascoltarono versando tristi lacrime. Tutti vollero invitarlo a casa loro per offrirgli generosi banchetti. Egli si intrattenne cordialmente in quel luogo per vari giorni e infine decise di ripartire. Gli abitanti gli raccomandarono di non raccontare al mondo esterno quello che aveva visto.

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Uscito dalla grotta, il pescatore risalì a bordo della sua barca e remò lungo il fiume dei fiori di pesco lasciando dei segni qua e là. Giunto a Wuling, si recò dal locale magistrato, riportando ciò che aveva visto. La prefettura inviò molti uomini a cercare la caverna basandosi sui segnali che il pescatore aveva lasciato, ma tutti si smarrirono e vagarono confusamente senza riuscire a trovare la via esatta. Liu Ziji della contea di Nanjang, che era un rispettabile studioso, dopo aver sentito narrare questa storia si dedicò con grande fervore alla ricerca della caverna, ma vanamente, e infine morì di malattia. Dopodiché, le ricerche furono abbandonate per sempre.

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Eremiti e meduse: sopravvivere alla metropoli

Questa volta ho scelto di lasciare spazio alle immagini che ho scattato in questi mesi a Shanghai. Raccontano della vita quotidiana, ma anche delle particolarità e stranezze di questa affascinante metropoli.

EREMITI METROPOLITANI

Nella Cina Imperiale, ogni letterato funzionario che avesse superato gli Esami e fosse stato assunto a corte doveva occuparsi della gestione degli affari amministrativi, militari ed economici relativi al suo mandato, spesso in zone remote dell’Impero. Il sogno accarezzato segretamente da ognuno di loro, e reso manifesto nell’arte dei giardini, nelle elegie e  nella pittura di paesaggio, era quello di poter abbandonare finalmente gli affanni e la polvere del mondo e ritirarsi in un eremo su una montagna, dove vivere i propri ultimi anni immerso nella meditazione e nella contemplazione della natura. Glia architetti di questo complesso di condomini devono essersi ricordati di quel sogno millenario e hanno deciso di dargli nuova vita. Per chi vive in una metropoli di venti milioni di abitanti, quale aspirazione più nostalgica e dolce di una capanna tra le vette e le nubi? Ma perché rinunciare per questo a vivere nel centro di Shanghai, con tutte le comodità che la civiltà comporta? Ecco la soluzione per gli aspiranti eremiti metropolitani.

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COMMERCIO

Shanghai brulica di attività commerciali. Nei sotterranei della città si aggrovigliano avveniristici e scintillanti centri commerciali, i supermercati a cinque piani offrono ogni attrazione per l’occhio e servizievoli tapis roulant portano i consumatori con i loro carrelli stracolmi da un piano all’altro. Salendo per le stazioni di questo Inferno dantesco che consuma ogni energia del malcapitato visitatore, si sbuca nelle grandi arterie commerciali come Nanjing Road e infine ci si disperde nella babele dei vicoli, dove i venditori offrono la loro merce su improvvisati banchetti o direttamente sulla strada: galline, frutta, aquiloni, parasole (in Cina è imperativo estetico non abbronzarsi!)

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MATERIE PRIME

In Cina la raccolta differenziata è gestita da privati e famiglie che si guadagnano da vivere rivendendo le bottiglie di plastica o il cartone alle aziende del riciclo. L’acqua che esce dai rubinetti non è potabile, e spesso nei grandi complessi immobiliari o negli studentati c’è la figura del “waterman”, l’uomo che recapita porta a porta le taniche da 20 litri di acqua potabilizzata.

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BICICLETTE

Date le dimensioni dei campus, è spesso indispensabile girare in bicicletta, di solito portando sul retro un altro studente, o nel caso delle studentesse, fare esercizi di equilibrismo zigzagando in bici tra la folla e contemporaneamente proteggendosi la pelle immacolata con il parasole. Buona parte del tempo guadagnato viene però sprecato cercando vanamente la propria bicicletta nei parcheggi, labirinti smisurati di ruote e telai.

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MONDI DI ZUCCHERO

Un’antica arte cinese, che talvolta si vede ancora praticata nei quartieri vecchi, è quella delle sculture di zucchero caramellato. Lo zucchero fuso è steso su una piastra e modellato a creare deliziose filigrane che raffigurano gli animali zodiacali. Una meraviglia per grandi e bambini.

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ANIMALI DOMESTICI

Molti a Shanghai possiedono un cane o un gatto (nei campus universitari abitano sterminate colonie feline sfamate da studenti e impiegati). Questo negozio di animali, per alleviare l’anonimato e la solitudine di chi vive nella metropoli, ha deciso di proporre un animale da compagnia un po’ particolare: la medusa. Richiede poche cure e garantisce melanconici pomeriggi trascorsi contemplando questa eterea creatura fluttuare nel bicchiere.

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MAHJONG

Ogni tanto la circolazione sul marciapiede è interrotta da gruppi di anziani che aprono i propri tavolini pieghevoli e si mettono in mezzo alla folla a giocare a scacchi cinesi, a go o a mahjong. Intorno a loro, altri anziani seguono e commentano le mosse.

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Quando gli occidentali pregano Confucio

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Il Tempio di Confucio sorge come un oasi di pace tra i vicoli contorti e rumorosi della città vecchia. Il culto di Confucio è stato storicamente promosso dalle diverse dinastie che volevano trovare un fondamento rituale e ideologico all’unità dell’Impero, ed è solitamente rimasto confinato alle cerimonie di Stato e alla classe dei letterati-funzionari che nella tradizione confuciana si riconosceva. Poi però, lentamente, Confucio è stato assimilato al dio taoista della cultura, e come tale appare in forma divinizzata in molti templi taoisti, come il grande Tempio delle nuvole Bianche di Pechino. Oggi sono soprattutto gli studenti a venire qui per chiedere assistenza celeste negli esami. Dai rami degli alberi secolari che circondano l’edificio principale del tempio pendono foglietti gialli legati con un nastro rosso: su un lato portano l’effigie di Confucio, sull’altro il testo della preghiera o della richiesta di grazie. Quando si alza il vento, il fruscio delle preghiere si solleva in mille lingue. Con stupore, infatti, ho scoperto che almeno la metà dei foglietti sono redatti da occidentali che vivono a Shanghai per studio o lavoro, o più spesso da turisti. Cosa rappresenta Confucio per loro? Dai loro testi Confucio appare assimilato ai santi cristiani, a cui ci si rivolge per chiedere aiuto e buona salute. Spesso è vissuto come l’incarnazione stessa della cultura cinese. Si presenta il dubbio di quale appellativo scegliere per rivolgersi a lui. Non è propriamente una divinità, ma nemmeno una figura sacra della nostra cultura… nel dubbio spesso le preghiere iniziano con un “Caro Confucio”, “Dear Confucius”, “Cher Confucius”, “Lieber Konfuzius”. Talvolta si aggiungono altri appellativi più legati alla tradizione cinese, come “Maestro” o “Onorabile Maestro Confucio”.

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La preghiera più “laica” è quella di Anne, che in inglese scrive: “Caro Confucio, AMO la tua filosofia. Sono venuta qui solo per renderti omaggio.” Altri chiedono salute e benedizioni come si farebbe con un comune santo cristiano. Il fatto che Confucio sia percepito come un saggio che si occupava essenzialmente dell’umano e della società ma non di valori trascendenti, aiuta nel chiedere il benessere terreno. Amelie, Francia, scrive: “Confucio, ti chiedo salute, amore, viaggi e benessere per me e per tutte le persone che mi sono care.”. Alex, USA: “Ti chiedo che l’amore della mia vita conservi sempre la salute. Che i giorni che arriveranno, benché difficili, noi li possiamo affrontare insieme e ritrovarci più uniti di prima.” Alicia: “Caro Confucio, aiutami a trovare un buon lavoro e ad avere fortuna in tutto il mio periodo di studi. Che la mia famiglia resti sempre in salute e tutto il meglio per i miei amici.”

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Alcuni ritrovano in Confucio il padre della civiltà cinese, e per questo si rivolgono a lui nell’affrontare lo studio della lingua o cultura cinese. Bill: “Confucio, onorevole maestro, aiutami a ottenere successo nei miei studi di cinese, come negli altri impegni accademici. Guidami alla comprensione.” E un bambino americano: “Vorrei diventare molto bravo nel Kung-fu ed essere molto intelligente a scuola. Grazie.”

Molti, ispirati dalla sua filosofia, riconoscono in lui l’incarnazione della saggezza e chiedono una guida nell’affrontare le vicende della vita. Albert: “Caro Confucio, in questo momento mi sento smarrito… Le cose non sono andate come desideravo e non riesco a prendere una decisione. Per favore, aiutami a trovare la mia strada verso la luce e garantiscimi saggezza, forza e coraggio per fare la cosa giusta. Grazie.” Abdullah: “Caro Maestro Confucio, dammi la giusta direzione per perseguire conoscenza e saggezza”. Aurelie: “Ti chiedo che l’amore della mia vita conservi sempre la salute. Che i giorni che arriveranno, benché difficili, noi li possiamo affrontare insieme e ritrovarci
più uniti di prima.” Vincent: “Caro Confucio, donami la pazienza del cuore.”

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Non mancano riferimenti diretti ai Discorsi di Confucio e ai contenuti del suo pensiero, come T.D. che chiede: “Fa che il libro che devo scrivere sia pervaso dal senso del ren.” Ren, variamente tradotto con senso di umanità, benevolenza ed empatia, è considerato il supremo valore trasmesso da Confucio nel suo insegnamento. Molti altri ricordano l’insistenza di Confucio nel perseguire la virtù della pietà filiale, e pregano per i loro genitori anziani, come G. che in italiano scrive: “Caro Confucio, proteggi mio padre e le persone che gli sono care. Donagli la felicità eterna e la salute. Ti sono riconoscente.”

Ci sono poi gli studenti che sanno come i Classici Confuciani siano stati per secoli il pilastro del sistema degli Esami Imperiali e quanto Confucio abbia sempre esaltato lo studio come via di autocoltivazione dell’umano. Chiedono soprattutto aiuto per gli studi universitari, come Charlene: “Caro Confucio vorrei riuscire nei miei studi e poter accedere all’USIP a Parigi per avere il lavoro dei mie sogni. Grazie.”, o Nathan: “Caro Confucio, vorrei avere successo nei miei studi all’Indiana University. Che io possa avere un felice primo anno da matricola e altri quattro anni di successi.”

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Tutti, comunque tributano a Confucio lo stesso rispetto e venerazione che avrebbero per le figure sacre dell’Occidente cristiano e anzi, figli di società ormai ampiamente secolarizzate, sembrano rivolgersi a lui con la prossimità e familiarità di chi, senza la mediazione e la sovrastruttura di una religione organizzata, incontra sulla propria strada un maestro e una guida spirituale. Ciò che Confucio rappresenta ha ormai travalicato i confini della Cina, e i visitatori non hanno difficoltà a sentirsi parte di una comunità mondiale, a incorporare la cultura cinese nella propria e a vedere il filo sottile che unisce la sapienza umana in qualunque parte del globo essa sia fiorita.

Quello che vedete qui sotto è il retro del mio foglietto di preghiera. Non vi rivelerò cosa ci ho scritto. Ma se desiderate saperlo, potete andare a Shanghai, al Tempio di Confucio, godervi il mormorio dell’acqua e il canto degli uccelli, e come ho fatto io frugare tra le fronde degli alberi secolari.

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Svegliatevi, dormienti

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Tutto comincia con Platone e il suo Mito della Caverna, probabilmente il mito fondante del pensiero occidentale. Il filosofo ci racconta di un gruppo di prigionieri legati in una grotta, che osservano le ombre e ascoltano gli echi che provengono loro dall’esterno e si illudono che siano l’apparizione di oggetti e di suoni realmente presenti. Immersi in questo cinematografo ante-litteram, i prigionieri non sono forse dei dormienti che sognano e, intrappolati nelle fantasmagorie del sogno, lo scambiano per la realtà? Sappiamo come il mito si conclude. Uno dei prigionieri viene liberato. Come un uomo che al mattino si risveglia percepisce il sole e poi il nitido profilo delle cose delinearsi nella luce. Ritorna nella caverna, per ridestare i propri compagni dalla loro finzione, ma essi non gli credono e lo mettono a morte. Triste destino del filosofo, deriso e ucciso come Socrate per aver voluto additare la verità dietro il cangiante e multicolore velo di Maya delle apparenze.

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2000 anni dopo all’altro capo del mondo, il filosofo Wang Yangming osserva con strazio un mondo di ebbri dormienti. Il buddhismo, con la sua ricerca dell’illuminazione e del Risveglio ha depositato le sue tracce anche negli strati più profondi del pensiero confuciano. E ancora una volta, in una sua poesia, Wang descrive il tormento dell’uomo che solitario veglia ed è impotente a ridestare gli altri al vero: “L’intero mondo è sprofondato nel sonno/Ma il solitario – chi sarà? – per caso ancora sobrio/Grida ma non può smuovere gli altri/Che lo fissano con muto attonimento.”

Ten Portraits of Jews of the Twentieth Century 226: Franz Kafka

Il movimento di spola prosegue, un altro passo avanti di cinquecento anni, nuovamente in Occidente. Franz Kafka, ispirato da una raccolta di racconti fantastici cinesi, “I racconti straordinari dello studio Liao”, di un autore di poco posteriore a Wang, Pu Songling, scrive la propria notte, le proprie angosce, i propri incubi. Dentro i suoi racconti ci sono, trasfigurati, la burocrazia sterminata e senza senso dell’Impero Cinese come può apparire a un occidentale (“Durante la costruzione della muraglia cinese”) e la vana attesa di un uomo a cui è stato destinato un messaggio dell’Imperatore e non lo riceverà mai, perché troppo vasta e remota è la corte e troppo labirintica la città che lo separano da lui (“Il messaggio dell’imperatore”). Ma c’è anche questo breve e fulminante apologo, “Notte”:

“Di notte. Sprofondato nella notte. Essere sprofondato nella notte come talvolta si abbassa la testa per riflettere. Gli uomini intorno dormono. Una piccola commedia, una innocente illusione che dormano nelle case, nei letti solidi, sotto un tetto solido, stesi o rannicchiati su materassi entro lenzuola, sotto coperte; in realtà si sono trovati insieme, come a suo tempo e come più tardi in una regione deserta, accampati all’aperto, un numero incalcolabile d’uomini un esercito, un popolo sulla terra fredda, sotto un cielo freddo, coricati dove prima erano in piedi, la fronte contro il braccio, il viso contro il suolo, col respiro calmo. E tu sei sveglio, sei uno dei custodi, trovi il prossimo agitando il legno acceso nel mucchio di stipe accanto a te. Perché vegli? Uno deve vegliare, dicono. Uno deve esserci”.

Il risvegliato non cerca più di portare la verità del giorno ai suoi compagni. Li osserva quasi con tenerezza, finalmente fatti uguali oltre le epoche e i confini e le ideologie, sprofondati come sono nella loro inerte animalità, nei loro sogni inaccessibili. Il solitario veglia su di loro, porta il peso silenzioso del proprio incomprensibile destino. Testimoniare, gli occhi spalancati nella notte, questo è il compito che gli è stato affidato.

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Dopo avere zigzagato nel tempo e nello spazio, la navetta del telaio ritorna in Cina. Qui è Lu Xun, il più grande scrittore dell’epoca moderna, che rovescia la veglia mite e sommessa di Kafka in uno straziante enigma. Intorno a lui la Cina imperiale crolla sotto il peso dell’imperialismo delle potenze straniere. Lui osserva il tramonto di un mondo, l’imbarbarirsi dell’umano, il furore delle vecchie ideologie che opprimono e “mangiano gli uomini”. Nel suo racconto “Diario di un pazzo” (1918) racconta di un uomo che scopre come tutti i suoi vicini si nutrano di carne umana. Il delirio di un paranoico o la realtà brutalmente rischiarata dal bagliore della follia?

E ancora torna ad affacciarsi il mito della caverna, stavolta trasformata in una camera di tortura, e il baluginio sottile di una speranza che non si sa se sia l’annuncio di un’alba che viene o l’ultimo fuoco del crepuscolo:

“Immagina una casa di ferro senza finestre, praticamente indistruttibile, con tanta gente addormentata sul punto di morire asfissiata. Tu sai che la morte li coglierà nel sonno e che quindi non conosceranno le pene dell’agonia. Ora, se tu, con le tue grida, svegli quelli dal sonno più leggero e se costringi questi sfortunati a soffrire il tormento di una morte inevitabile, credi di rendere loro un servigio? Eppure, se alcuni si svegliano, non puoi più dire che non ci sia alcuna speranza di distruggere la casa di ferro.”

 

 

Shanghai, XXII secolo

Uno dei più bei film di fantascienza di sempre, Codice 46 di Michael Winterbottom, è stato girato nel quartiere Pudong di Shanghai, il distretto d’affari della metropoli, senza la necessità di effetti speciali o computer graphic. Visitare Pudong è come attraversare un varco temporale e fare una passeggiata nel ventiduesimo secolo. Pudong è dominata da tre torri vertiginose: Lo Shanghai World Financial Center, alto 492 metri, forma “a cavatappi” e un ascensore che in meno di un minuto ti trasporta al 100° piano, culmina in un corridoio d’osservazione di 55 metri da cui si possono guardare gli impervi e surreali scorci delle torri che lo circondano. La torre Jinmao, ispirata alle strutture architettoniche delle pagode, è il grattacielo di maggior valore estetico, ma più basso: 420 metri. Ancora in costruzione è invece la Shanghai Tower. Quando sarà completata, nel 2014, raggiungerà l’altezza di 632 metri e con i suoi 128 piani sarà il secondo grattacielo più alto del mondo, dopo l’inarrivabile Burj Khalifa di Dubai. La sua struttura a nove cilindri sovrapposti che si sviluppano con una sorta di torsione elicoidale è estremamente audace ma armoniosa. Le nove zone interne costituiranno poi dei moduli a sé stanti, ciascuna con giardini interni, ristoranti e centri commerciali. Ai piedi dei tre giganti si stende un fitto sottobosco di grattacieli dai vetri argentei o dorati, a forma di cristallo di quarzo sbalzato o costellati di colonne greche. Naturalmente c’è anche la Oriental Pearl TV Tower con il suo “treppiedi” e le due sfere rosacee molto ambite dai turisti come piattaforme d’osservazione. I grattacieli sono raggiungibili tramite una vasta passerella pedonale servita da scale mobili che consente ai visitatori (e questa settimana, grazie alla Festa nazionale del primo ottobre, il flusso era tale da impedire quasi di avanzare) di ammirare i profili delle torri e la luce del tramonto che si scheggia sulle loro superfici vitree. La passerella si inoltra anche serpeggiando negli immensi centri commerciali, e li collega con la stazione della metropolitana. Quattro stazioni più oltre è possibile raggiungere la stazione di partenza del Maglev, il treno a levitazione magnetica che corre a 430 km/h sulla sua monorotaia sopra la campagna, che recede piano piano di fronte ai cantieri insonni che avanzano, fino all’aeroporto internazionale. Le prospettive sovrumane e schiaccianti delle torri di Pudong si smorzano sul lungofiume, una passeggiata silenziosa, costellata di alberi e caffè all’aperto, che guarda sul Bund con i suoi palazzi e hotel art nouveau e le sue chiese retaggio delle concessioni straniere. Ogni tanto una carrozza con abiti di inizio novecento, è la scenografia di un fotografo di strada che promette di ritrarti in color seppia nello splendore raffinato e imperialista della Belle Époque. La folla che invade i meandri dei grattacieli e l’improvviso rallentamento del tempo lungo l’ansa del fiume rendono l’esperienza di Pudong diversa da quella di altre città che ci precedono nel futuro, come la Défense di Parigi con le sue spianate battute dal vento e il silenzio irreale delle torri che la fa sembrare una città abbandonata dall’uomo, una profezia di apocalisse.
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I giardini cinesi: un universo in miniatura

Ieri ho visitato lo splendido giardino di Yu. Ho pensato di riproporre alcune riflessioni sull’essenza del giardino cinese, corredandole con le foto dello Yuyuan.

Nel giardino cinese ogni ambiente è dato da una sapiente composizione di elementi naturali, disposti e armonizzati in modo tale da farli quasi apparire spontaneamente concresciuti e scoperti casualmente dallo sguardo. Scrive Maggie Keswick nel suo saggio The Chinese garden: «Benché vi sia un ordine complicato che può infine essere percepito, i cinesi non hanno creato i loro giardini perché fossero concettualizzati dall’alto, da un elicottero cerebrale, come hanno fatto francesi e italiani. Il giardino cinese andava percepito come una sequenza lineare, “il rotolo dipinto in cui entrare con la fantasia”, che appare infinita». Il paesaggio dipinto e quello distillato nella sua quintessenza in un giardino offrono solo a chi li percorre un’illimitata serie di scorci, mutevoli in tono e atmosfera di stagione in stagione, cangianti nei loro chiaroscuri secondo le diverse fasi del giorno, sinuosi e imprevedibili, quasi generati dalla forza stessa della natura, di complessità stupefacente ma mai geometrici e razionalmente decifrabili come labirinti. Essi sono inoltre organizzati in modo tale che chi li attraversa, giunto al termine del proprio viaggio, non sappia tracciarne mentalmente la mappa ma sia costretto a ritornarvi ancora e ancora per lasciarsi sorprendere dai mutamenti impercettibili di un organismo vivo.

Le rocce onnipresenti nei giardini cinesi, stimate per l’opera di erosione che gli agenti naturali hanno operato sulla loro superficie e simili nella forma a concrezioni di nubi e addensarsi di soffi, sono rimandi simbolici al Dao che plasma le cose. Una delle tre caratteristiche della pietra perfetta è quella di essere tou (透), cioè porosa e attraversabile in un volo immaginario che ne percorra le caverne segrete, l’intrico organico e vivente che espira nebbie e  vapori e custodisce le sorgenti dell’immortalità.

i muri sono spesso dipinti con i colori spenti e non vistosi della natura nella sua essenza: il bruno dei rami secchi, il verde dei muschi, il grigio della roccia nuda. La luce vibra soffusa e inappariscente sulle pareti come sugli specchi d’acqua torbidi e fitti d’alghe che punteggiano il giardino, ed è proprio la sua opacità discreta a suggerire l’impressione di un ambiente che si estende oltre i propri angusti confini materiali. La dualità interno-esterno è sdrammatizzata da aperture, spesso rotonde, forma simbolica del cielo, che come i tori giapponesi costituiscono delle cornici non-cornici, direzionano lo sguardo e il cammino verso spazi che non sono stati pensati prospetticamente in vista di questa sezionatura. La cornice non li racchiude ma li intensifica nella loro qualità atmosferica di luoghi, condensazioni dell’universo proprio grazie alle trasformazioni innumerevoli che il tempo, la carezza mutevole della luce, il tono irripetibile di ogni stagione opera su di loro.

Percepire il mormorio di mondi in formazione dentro una semplice pennellata, vedere nella piccola roccia la secolare metamorfosi del suo farsi montagna, cogliere ogni elemento naturale non solo per come si presenta ma nell’imminenza del suo sorgere e declinare nel trasmutarsi delle stagioni, nell’albero il minuto seme da cui è germogliato e la foresta a cui esso darà nascita, richiede un lento apprendistato del cuore che è lo scopo ultimo del giardino cinese.

Il Cielo nella città

Avevo promesso di parlarvi delle Guanghua Towers, simbolo dell’università Fudan. Si tratta dell’edificio più alto mai costruito all’interno di un campus universitario cinese. Non è solo l’altezza (104,5 metri) a renderle impressionanti, ma soprattutto l’imprevedibilità della loro apparizione. Quando si attraversano i vialetti alberati del Campus di Handan contornati dai loro piccoli e graziosi edifici a due o tre piani, si è immersi in una dimensione così raccolta da trascurare la sagoma delle torri che si intravede a frammenti nel mosaico delle fronde di ginko biloba. Poi i vialetti terminano improvvisamente sfociando nel largo respiro di un grande prato che col suo vuoto bilancia la possente e vertiginosa monumentalità dei due grattacieli gemelli. All’ingresso sui due lati una gradinata e un porticato neoclassico sembrano rendere le torri ancora più distanti e inaccessibili. La loro refrattarietà di sfingi le rende quasi eteree, incorporee.

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Shanghai è costellata di grattacieli. Mi sono chiesta che significato abbiano o possano avere al di là della loro funzionalità in una megalopoli di ventitré milioni di abitanti affamata di strutture e di spazio. L’architettura cinese, infatti, dato anche l’uso del legno come materiale di costruzione tende di solito ad essere di dimensioni contenute in altezza. La Città Proibita incuteva soggezione ai visitatori con la vastità degli spazi che racchiudeva e che era necessario attraversare per giungere al trono dell’Imperatore. I padiglioni e le sale a un piano non incombevano sull’osservatore, come i nostri castelli o le nostre torri, ma raggiungerli richiedeva un viaggio all’interno di spazi tanto vasti da riassumere in sé le quattro direzioni del mondo. Era l’esperienza di disorientamento del corpo in questo vuoto a creare una sorta di trascendenza orizzontale, che vissuta e percorsa era non meno impressionante della schiacciante verticalità (esperienza però puramente visiva) dei nostri palazzi e delle nostre cattedrali. L’architettura civile poi, era ancora meno evidente: gli edifici dovevano essere a un unico piano per non superare l’altezza dei tetti della Città imperiale. Anche in questo caso però la loro vera natura si rivelava solo a chi li percorreva: la vastità era ripiegata nella loro infinita labirintica struttura. Da noi in Occidente il grattacielo è, fondamentalmente un assalto al cielo, la sfida di Prometeo agli dei, o il sogno della torre di Babele finalmente realizzato. Ecco perché al principio la visione delle Guanghua Towers mi ha spiazzato: è concepibile per la cultura cinese questo antagonismo con il Cielo? Poi, visitando i 30 piani delle torri, occupati da aule, uffici e biblioteche, ho notato gli ampi spazi vuoti (con il tocco Art Nouveau delle scalinate, che qui a Shanghai, per la stratificazione culturale portata dalle Concessioni straniere, è onnipresente e, mentre in Europa veniva accantonato, qui è ancora conservato e trasmesso.)

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Il vuoto caratterizza anche altri grattacieli come il Word Financial Center (492 m. Una curiosità: il buco a quanto pare doveva essere circolare, in Cina la forma simbolica del cielo, ma l’eccessiva somiglianza con la bandiera giapponese ha spinto gli architetti a ripiegare su questa forma “a cavatappi”).

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Allora forse queste costruzioni custodiscono il Cielo senza minacciarlo, lo rendono sperimentabile. E sono eredi dell’unico edificio multipiano classicamente cinese, la pagoda. La pagoda deriva dallo stupa indiano, che rappresenta il corpo del Buddha in meditazione. I cinesi hanno aggiunto il simbolismo numerologico dei piani (solitamente in numero dispari, cioè yang) e la prodezza costruttiva nell’assemblare queste complesse strutture di travi incrociate e mensole a braccio solo ad incastro, senza neppure un chiodo. Lo stesso orgoglio che spinge oggi a costruire grattacieli in tempi record, usando ancora le stesse impalcature in bambù resistenti e flessibili che si sono usate per secoli. La torre Jin Mao (421 m) è stata concepita, con i suoi piani ruotati e sfasati proprio ad imitazione delle pagode.

jin mao               pagoda

E la futuristica Tomorrow Square, con la sua sfera gelosamente custodita dalle quattro punte, non ci ricorda forse che gli stupa in origine furono creati per conservare le perle scintillanti residuo della cremazione del corpo di Buddha?

20130908_162718     draghi

La perla, spesso contesa tra due draghi in posizione yin-yang è simbolo del Cielo, e dell’immortalità cercata dai taoisti. Anche la torre Taipei 101 di Taiwan contiene una sfera che ha la funzione di mantenere l’equilibrio della torre in caso di terremoti. E Shanghai ha la sua famosa Oriental Pearl Tower (468 m) illuminata di rosa, che punteggia il cielo come una stella (o una pillola celeste dell’immortalità) scesa ad abitare tra gli uomini.

Shanghai_oriental_pearl_tower

Nel 2014 sarà completato a Changsha il grattacielo più alto della Cina (838 m). Indovinate come si chiamerà? Sky City, in cinese 天空城市 (Tiankong chengshi), città del vuoto celeste.

SkyCityHorizon